domenica 15 gennaio 2017

La malinconia dei Crusich





“Malinconici, rimuginatori, cacciatori di terre promesse, guardatori di lune e sensuali come zingari” (pag.71). Ecco il marchio familiare dei Crusich, uomini assetati di vita e proprio per questo irrequieti, segnati dal “contraddittorio istinto a cercare terre promesse e nello stesso tempo a metterci radici” (pag.331), consapevoli dell'inconsistenza di reali paradisi terrestri ma attratti inevitabilmente dal loro richiamo irrazionale. I Crusich che, se fossero solo istinto, sarebbero come il falco pellegrino liberato dai geti che, a fine libro, scompare non a caso nel chiarore della luna. Ma la razionalità umana blocca il loro dinamismo istintivo e li lascia preda di quello stato d'animo che Alfieri definisce “la solita malinconia, la noia, e l'insofferenza dello stare” (Vita scritto da esso, I, epoca III, cap.3). Una solita malinconia legata all'incresciosa coscienza dell'azione corrosiva del tempo, della fragilità dell'esistere, della precarietà degli affetti, dello svanire dei punti di riferimento fondamentali, della morte come punto di approdo naturale per ogni essere vivente.

Tuttavia la vita non riserva solo momenti di dolore (esemplari, in proposito, le pagine dedicate alla morte di Clementina, moglie di Agostino Crusich). Gianfranco Calligarich non intende presentare una visione lugubremente monocorde del soffocante determinismo che intrappola ognuno in un assurdo viaggio verso il nulla. La vita riserva anche momenti di felicità – come quando i membri della famiglia si riuniscono al termine del Secondo Grande Massacro Mondiale –, momenti di spensieratezza, di solidarietà, di amore. Il ricordo s'impone non soltanto nell'aspetto deteriore di un catalogo di defunti, di bambini irruenti deformati in anziani alcolisti, di rimpianti per amori non realizzati, di luoghi sgretolati in nebbiosi lacerti mnemonici. Ma s'impone anche nelle immagini piacevoli dell'infanzia. Un'infanzia, si badi, non rievocata ingenuamente come priva di lacerazioni interiori, ma contrassegnata soprattutto dalla volontà di cercare nuove prospettive esistenziali, di sognare avventure, per così dire, zingaresche, di scoprire il valore dell'amicizia, e caratterizzata anche dal divertimento perfino di giocare tra le macerie o di ridere di fronte a un petomane esibizionista.

Libro raro, La malinconia dei Crusich (Bompiani, 2016), non allineato all'odierna produzione narrativa italiana. Un'avvincente saga familiare e, al contempo, un minuzioso romanzo storico che non scivola mai in una banale celebrazione di personaggi mitizzati in virtù di uno scanzonato senso del limite, di un sottile umorismo che permea gran parte della narrazione. Narrazione, peraltro, impreziosita da una lingua avvolgente, lirica, priva di qualsiasi arcaismo, riluttante verso ogni rispetto formalistico delle regole grammaticali. Una lingua che punta all'epico ma che si attenua felicemente in una dolce sobrietà perché mitigata da un'ironia malinconica.


1 commento:

  1. Sempre la solita solfa molto bella ma lunga. Quindi diciamo breve saggio che più si attaglia a quello che è stato scritto

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