lunedì 15 luglio 2019

Cetti Curfino





L’oppressione della solitudine, l’impossibilità completa di comunicare l’isolamento esistenziale, il tormento che lacera l’animo senza affinarlo, la coscienza della velleità di sperare in un riscatto impalpabile, lo scorgere il futuro appiattito su un presente vuoto perfino di parvenze di stimoli vitali. Ecco le reali lacerazioni che trapelano sottili durante la lettura di Cetti Curfino (La nave di Teseo, pp.254).

«Qual è il valore del tempo che passa, quando ogni giorno si riduce alla parodia di quello che si è appena concluso?» (p.70) si chiede Andrea Coriano, il protagonista, oppresso da una realtà grigia da cui potrebbe evadere solo mettendo a repentaglio la vita, opzione tuttavia impossibile per un abulico come lui che sente già in sé, e da anni, germogliato il seme della rinuncia; che percepisce saldamente solidificate le radici di un lasciarsi vegetare troppo simile, purtroppo, a un nascondersi vigliacco.

Andrea sa bene che la sua è una di quelle tante «esistenze vuote come uova di Pasqua senza sorpresa». Che senso avrebbe, pertanto, scartare il rivestimento, rompere l’ovale di cioccolato se poi dentro non si trova niente se non uno specchio mentale del vuoto della propria inutilità?

Chi è Cetti Curfino? Chi è questa quarantenne omicida, affascinante per quanto incolta e, in apparenza, scontrosa? Perché tale detenuta si confonde e si ingloba per lui con il ricordo dell’ex fidanzata, la risoluta Elsa? Perché Andrea scorge in Cetti non solo le stigmate della subordinazione femminile di sempre (amplificate dalla condizione di emarginata siciliana) ma anche un carattere archetipico che gli sfugge tormentandolo?

Rispondere comporterebbe svelare l’origine del malessere del protagonista, la tragedia di un’assenza totale su cui, dal primo vagito in poi, lo ha condotto a brancolare come se si trovasse nel mezzo di una perpetua nebbia cinerea e a non scorgere il sole risplendere sopra le nuvole d’autunno. Dare indizi significherebbe offrire un’interpretazione intempestiva sulle contraddizioni di un trentenne che – per sfogare la sofferenza del sentirsi un inetto rinchiuso in un’asfittica realtà di una quotidianità superflua – si abbandona al cibo, accettando senza provare fastidio la conseguente pinguedine, quasi nella certezza inconscia che l’essere sovrappeso renda paradossalmente invisibili, forse difesi dallo scorrere tormentato di una vita deludente.

Nonostante la dimensione in buona sostanza drammatica del protagonista, Cetti Curfino è un romanzo scorrevole, pieno d’imprevisti, che ha il gran pregio di mettere il lettore di fronte alla consapevolezza della fragilità di alcune certezze ritenute superficialmente solide, di immetterlo in una storia privata dalle valenze universali. Tutto ciò grazie anche alla scrittura scorrevole di Massimo Maugeri e grazie alla sua notevole capacità di passare dal dramma alla commedia senza mai rallentare il ritmo di un romanzo decisamente ben riuscito.