domenica 22 gennaio 2017

La parte plastica della letteratura




 

Questa è la parte plastica della letteratura: incarnare un personaggio, un pensiero o un'emozione in un atto o in un atteggiamento che colpisca profondamente l'occhio della mente” (R.L.Stevenson, A Gossip on Romance, 1882).
Ed è proprio la parte plastica della letteratura la base su cui poggia, per così dire, l'individuale persistenza interiore di un capolavoro.
Stevenson esemplifica affermando che “Crusoe che indietreggia davanti a un'orma” sia “il momento culminante della
leggenda”, tutto il resto può essere anche dimenticato, perfino l'eventuale commento ingegnoso di Defoe.
Come non concordare? Chi non ricorda le lacrime di Astianatte di fronte al padre armato, la rabbia di Laocoonte prima di essere stritolato con i figli dai due serpenti marini, l'imbarazzo di Paolo e Francesca mentre leggono il bacio tra Lancillotto e Ginevra, lo smarrimento di Orlando quando riconosce la grafia di Angelica, la determinazione delirante di Don Chisciotte prima di scagliarsi contro ai mulini a vento, l'inquietudine di Faust che si vede seguito fino al suo studio da un cane nero, la disperazione di don Rodrigo quando scorge il bubbone sotto l'ascella, il ripugnante risveglio di Samsa, il riso di padre Flynn nel confessionale.
Ecco uno dei motivi per i quali la narrativa italiana di questo secolo non ha lettori all'estero. Un cospicuo numero di critici snob e potenti, persi dietro al dannunzianesimo di fondo di molti autori nostrani, esaltano la verbosità velleitaria di scrittori inconsistenti e sminuiscono la concretezza plastica di chi crede nella forza della narrazione. I mass media danno spazio quasi esclusivamente agli scrittori-personaggi televisivi o a improvvisati scribacchini che trascrivono i fatti di cronaca colorandoli con le invenzioni più scontate. Sicché ciò che emerge dall'odierno panorama letterario italiano si rivela o un presuntuoso nulla che sprofonda nel più tedioso estetismo sterile o un volgare duplicato di un telegiornale.
Tutto ciarpume intraducibile, insomma, che giustamente non valica le Alpi.




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