Perché gli eroi, per così dire,
borghesi di Boccaccio, cioè Mastro Simone, Bruno e Buffalmacco
ordiscono una serie di scherzi ben riusciti allo stupido Calandrino?
Per dimostrare di essere degli artisti allo stato puro. Non cercano
un guadagno. Basta loro la consapevolezza di sapere padroneggiare il
mondo e gli altri tramite l'intelligenza, tramite la capacità
labirintica e illusionistica della parola, tramite il tempismo più
perfetto.
Perché i maghi islamici di Ariosto
(Atlante, Alcina) riescono a irretire così facilmente gli uomini?
Fondamentalmente perché colgono la loro sciocca disponibilità a
farsi imbrogliare.
Perché Tasso tradisce la propria
partecipazione emotiva quando descrive gli amori tra Armida e Rinaldo
interrotti dal moralismo cristiano di Carlo e Ubaldo? Perché sa che
i due amanti, sebbene nel peccato, comunque erano felici.
Credo che alla base del notevole
romanzo La truffa come una delle belle arti di Gianluca Barbera
(Aliberti compagnia editoriale, pp.220) ci sia una splendida fusione
tra questi aspetti profondi della nostra letteratura.
Che cosa sono i truffatori se non
dei geniali manipolatori della realtà che, fondandosi sulla
dabbenaggine altrui, raggiungono momenti più o meno lunghi di
felicità che oltrepassano ogni bieco moralismo?
E dice bene Barbera quando afferma che
spesso il truffato sia anche un dozzinale lestofante fallito pieno di
livore e di invidia.
Calandrino non è solo un cretino, ma anche un potenziale ladro che pesta a sangue la moglie Tessa. Sacripante è uno stupratore mancato, ben lontano dall'amore paterno di Atlante per Ruggiero. Carlo e Ubaldo, alienati dal fanatismo religioso, non hanno mai desiderato di raggiungere una reale felicità terrena, nella loro ottusità non capiscono nemmeno che una felicità basata sugli inganni sia in ogni caso una felicità reale, una felicità a tutto tondo.
Ma il punto più alto del romanzo arriva quasi all'inizio, nella descrizione del viaggio di re Ferdinando verso la falsa sirena. Barbera ha scritto uno dei capitoli più esilaranti della narrativa italiana del XXI secolo, in cui fa rivivere icasticamente il fascino dei viaggi del “Satyricon”, la comicità anarchica dei romanzi picareschi mediata dall'ironia postmoderna di Saramago del “Memoriale del convento” che, a sua volta, presenta dei tratti di rielaborazione dei romanzi picareschi.
E, a proposito di cultura lusitana, si
scorgono nel libro anche delle convergenze con Pessoa. Convergenze
forse dovute a degli aspetti comuni tra il suo pensiero e quello di
Cioran.
L'arte come una delle belle arti è un romanzo solido, che non annoia mai e anzi fa riflettere e distrugge qualsiasi granitica certezza etica.
Paolo Marati
Caro Paolo, hai colto davvero nel segno. Grande acume.
RispondiEliminaGrazie, Luca. Forse ho messo in secondo piano un aspetto fondamentale del tuo romanzo, e cioè che è un libro divertente. È un libro iconoclasta ricco di un umorismo travolgente che non scade mai nella volgarità. Un libro che si legge volentieri una seconda volta.
EliminaUna bellissima recensione molto diversa dalla mia che parlo soprattutto del divertimento del libro delle fandonie e della ricchezza without a cause. Chiaramente la tua è più bella perche fai esempi dalla cultura classica. Più un saggio. Spero solo che tu non abbia trovato la mia banale. Mi dispiacerebbe perché ci ho lavorato molto su. Ciao. Bravo
EliminaPerò basta con la mia stupida e bassa autostima. Voglio essere sincero. In acune parti mi piace più la mia ahaha. Non è sano dire sempre di non saper scrivere.
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