domenica 24 luglio 2016

Il feticcio della comprensione esaustiva e le probabili intenzioni maggiori individuate tramite la quantità e il contesto



 
Se l’uomo avesse le stesse caratteristiche che garantiscono il funzionamento di un computer e gli permettono di produrre linguaggi compiuti, anche per gli omnia di ogni autore dedito soprattutto alle speculazioni teoretiche non si potrebbe far altro che constatare un'indubitabile sostanza concreta senza ricercare delle contraddizioni impossibili.

Il risultato della collaborazione tra l'hardware e il software produce, si sa, una realtà pancronica, estranea a stridori o a felicitazioni.

Il passare del tempo, la presenza di diversi destinatari e di differenti intenzioni si configurano, per una realtà simile, come dei problemi vacui sia per le conclusioni generali che per le applicazioni informatiche progettate come tali.

Ma fuori da questa realtà artificiale, le tre costanti appena citate di ogni forma di comunicazione umana (tempo, destinatari e intenzioni) non possono, tuttavia, essere seriamente catalogate come categorie assolute, né tanto meno possono essere distinte.

Parrebbe pertanto inconcludente proporre un'interpretazione non arbitraria non solo del discorso altrui ma soprattutto dello svolgimento diacronico del discorso altrui in virtù dell'essenziale condizione di alterità anche verso sé stesso di ogni essere vivente.

Tuttavia si potrebbe limare ma non demolire tale inconcludenza se si ricorresse a due criteri cardini, mutuati dalla filologia: quelli della probabilità e della quantità.

Già tali criteri elementari condurrebbero a una non condivisione verso la comprensione esaustiva e, per entrare nello specifico, a una non accettazione verso la staticità funzionale delle figure retoriche e, per entrare nell’iconoclastia, a una serrata critica contro le drastiche suddivisioni tradizionali fra argomentazioni e dimostrazioni.

Parrebbe arduo essere d’accordo con il presupposto dell’esistenza di singole volontà specifiche. Ancora più ostico sarebbe dare credito al mito della realtà di piccole volontà autonome, pure.

In altri termini, un discorso giudiziario non è solo una dimostrazione, un discorso deliberativo o uno epidittico non sono soltanto delle argomentazioni.

Per non rimanere bloccati nel nulla, si potrebbero però acquisire, ma solo come mere e imperfette categorie ermeneutiche, la dimostrazione (o speculazione teoretica) e l’argomentazione, aggiungendo, semmai, una terza, la constatazione, forse la meno legata al fattore tempo.

Questa suddivisione sarebbe operata solo per economia esegetica perché si rivelerebbe basata soltanto sulle probabili intenzioni maggiori e, di conseguenza, sui più o meno presumibili interlocutori.

Vale a dire, una volta individuate la probabile compatibilità parziale delle singole frasi o dei singoli discorsi con una delle tre categorie guida, tali discorsi o tali frasi prima si separerebbero, a seconda delle presunte intenzioni maggiori identificate, e quindi si raggrupperebbero nelle categorie assegnate.

Per comodità, si potrebbero suddividere diacronicamente i vari elementi dinamici delle dimostrazioni, delle argomentazioni e delle constatazioni e soffermarsi soprattutto sugli stati (nell’accezione di Saussure) delle dimostrazioni (in ogni dimostrazione è sottintesa la presenza dell’uditorio universale) e solo citare l’esistenza di eventuali constatazioni (per le quali, a rigore, non si può parlare di stati), specialmente quando pare implicita la sussistenza di qualche motivazione inconscia.

Tuttavia se la nozione stessa di stato non può essere che approssimativa, tanto più pare approssimativa la creazione di una sintesi finale con l’equiparazione e il confronto tra i vari stati per cogliere gli elementi costitutivi, le linee direttive di qualsiasi categoria.

La soluzione meno arbitraria comporterebbe l’astenersi da qualunque ambiziosa sintesi pancronica e il limitarsi a parcellizzate analisi idiosincroniche.

Il feticcio della sintesi potrebbe essere parzialmente soddisfatto solo seguendo i criteri della probabilità e della quantità, tramite l’acquisizione di frasi o di discorsi compatibili con una determinata categoria e caratterizzati dal loro statuto di ri-uso.

Ma si dovrebbe avere l’accortezza di parlare solamente di tendenza maggioritaria.

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