L’oppressione
della solitudine, l’impossibilità completa di comunicare l’isolamento
esistenziale, il tormento che lacera l’animo senza affinarlo, la coscienza
della velleità di sperare in un riscatto impalpabile, lo scorgere il futuro
appiattito su un presente vuoto perfino di parvenze di stimoli vitali. Ecco le
reali lacerazioni che trapelano sottili durante la lettura di Cetti Curfino (La
nave di Teseo, pp.254).
«Qual
è il valore del tempo che passa, quando ogni giorno si riduce alla parodia di
quello che si è appena concluso?» (p.70) si chiede Andrea Coriano, il
protagonista, oppresso da una realtà grigia da cui potrebbe evadere solo
mettendo a repentaglio la vita, opzione tuttavia impossibile per un abulico come
lui che sente già in sé, e da anni, germogliato il seme della rinuncia; che
percepisce saldamente solidificate le radici di un lasciarsi vegetare troppo
simile, purtroppo, a un nascondersi vigliacco.
Andrea
sa bene che la sua è una di quelle tante «esistenze vuote come uova di Pasqua
senza sorpresa». Che senso avrebbe, pertanto, scartare il rivestimento, rompere
l’ovale di cioccolato se poi dentro non si trova niente se non uno specchio
mentale del vuoto della propria inutilità?
Chi
è Cetti Curfino? Chi è questa quarantenne omicida, affascinante per quanto incolta
e, in apparenza, scontrosa? Perché tale detenuta si confonde e si ingloba per
lui con il ricordo dell’ex fidanzata, la risoluta Elsa? Perché Andrea scorge in
Cetti non solo le stigmate della subordinazione femminile di sempre (amplificate
dalla condizione di emarginata siciliana) ma anche un carattere archetipico che gli sfugge tormentandolo?
Rispondere
comporterebbe svelare l’origine del malessere del protagonista, la tragedia di
un’assenza totale su cui, dal primo vagito in poi, lo ha condotto a brancolare come
se si trovasse nel mezzo di una perpetua nebbia cinerea e a non scorgere il
sole risplendere sopra le nuvole d’autunno. Dare indizi significherebbe offrire
un’interpretazione intempestiva sulle contraddizioni di un trentenne che – per sfogare
la sofferenza del sentirsi un inetto rinchiuso in un’asfittica realtà di una quotidianità superflua – si abbandona al cibo, accettando senza provare fastidio la conseguente
pinguedine, quasi nella certezza inconscia che l’essere sovrappeso renda paradossalmente
invisibili, forse difesi dallo scorrere tormentato di una vita deludente.
Nonostante
la dimensione in buona sostanza drammatica del protagonista, Cetti Curfino
è un romanzo scorrevole, pieno d’imprevisti, che ha il gran pregio di mettere
il lettore di fronte alla consapevolezza della fragilità di alcune certezze
ritenute superficialmente solide, di immetterlo in una storia privata dalle valenze
universali. Tutto ciò grazie anche alla scrittura scorrevole di Massimo Maugeri
e grazie alla sua notevole capacità di passare dal dramma alla commedia senza
mai rallentare il ritmo di un romanzo decisamente ben riuscito.